Sindrome nella quale rientrano vari quadri patologici, da quelli iniziali di compressione del nervo plantare digitale al di sotto del legamento intermetatarsale trasverso a quelli più evoluti caratterizzati da un rigonfiamento vero e proprio del nervo digitale.
Il neuroma di Morton (anche neurinoma di Morton, nevralgia di Morton, sindrome di Morton, metatarsalgia di Morton, metatarsalgia di Civinini-Morton,neuropatia di Civinini-Durlacher, neuroma intermetatarsale, neuroma interdigitale, neuroma plantare e neurite interdigitale) è una patologia piuttosto frequente che interessa in particolar modo i soggetti di sesso femminile di età compresa tra i 25 e i 50 anni.
La locuzione neuroma di Morton è quella più utilizzata per indicare la patologia in questione, ma tale terminologia può risultare fuorviante perché potrebbe lasciar pensare a un processo neoplastico; in realtà, nel caso specifico della sindrome di Morton, non è presente alcuna degenerazione di tale tipo; è anche per questo motivo che, nel tempo, si sono cercate definizioni più appropriate di questo particolare quadro patologico. Di fatto, nel caso in questione, siamo generalmente di fronte a un quadro fibrotico perineurale, ovvero una formazione di tessuto cicatriziale fibroso legata alla continua frizione sui nervi da parte delle ossa metatarsali e del legamento intermetatarsale profondo.
Di norma, il neuroma di Morton è localizzato nello spazio fra il terzo e il quarto metatarso (ciò si spiega essenzialmente con il fatto che, a livello di questo spazio, le ossa metatarsali e il legamento intermetatarsale sono più mobili), ma anche in quello tra il secondo e il terzo, tra il quarto e quinto e, anche se molto più raramente, tra il primo e il secondo.
Una patologia con diversi “padri”
Il neuroma di Morton fu descritto per la prima volta nel 1835 da un medico italiano, il pistoiese Filippo Civinini (1805-1844); in sua “lettera anatomica” datata 28 settembre 1835, rinvenuta in modo fortuito durante dei lavori di ristrutturazione dell’Ospedale del Ceppo di Pistoia, il medico toscano descrive dettagliatamente “un nervoso rigonfiamento alla pianta del piede”. La patologia venne in seguito descritta dal chirurgo inglese Lewis Durlacher (1792-1864) nel 1845 per poi essere definita ancor più dettagliatamente dal chirurgo americano Thomas George Morton (1835-1903).
Le cause del neuroma di Morton
L’eziologia del neuroma di Morton è multifattoriale; tra le cause più frequenti ricordiamo:
▪ uso di calzature non adeguate (per esempio, nelle donne, l’indossare per molto tempo scarpe con tacchi a spillo o le punte eccessivamente strette)
▪ scompensi di tipo posturale
▪ disturbi a livello neurologico
▪ alluce rigido
▪ alluce valgo
▪ ipercaricoavampodalico
▪ alterazioni morfologiche del piede (piede cavo e piede piatto)
▪ lassità dei legamenti
▪ artrite reumatoide
▪ microtraumi al piede, leggeri, ma ripetuti
▪ allenamenti su superfici non idonee (soprattutto negli atleti praticanti il fondo).
I sintomi del neuroma di Morton
La sintomatologia del neuroma di Morton è abbastanza caratteristica. Il dolore, di tipo nevralgico, è di notevole intensità; si avvertono bruciore, la sensazione di scossa elettrica e l’impellenza di togliere la calzatura. Le sensazioni dolorose sono più frequenti durante la deambulazione, ma, per quanto ciò avvenga più raramente, possono essere avvertite anche a riposo. In molti casi si hanno parestesie, intorpidimento e un calo della sensibilità.
Patognomonico della sindrome di Morton è il cosiddetto segno della vetrina, curiosa e pittoresca espressione utilizzata però anche dagli specialisti per indicare il bisogno impellente di togliere la calzatura che riveste il piede interessato; si fa riferimento al fatto che il soggetto (più frequentemente una donna), per passare inosservato nella manovra, si ferma davanti a una vetrina facendo finta di osservarla.
Come diagnosticare il neuroma di Morton
La diagnosi del neuroma di Morton è essenzialmente di tipo clinico; l’esame obiettivo deve innanzitutto escludere eventuali altre cause o presenza di deformità che possano generare una sintomatologia simile. Di norma, all’esame clinico, il piede non presenta particolari alterazioni di tipo morfologico; non è però infrequente osservare la sindrome di Morton associata ad altre problematiche dell’avampiede quali, per esempio, il dito a martello o l’alluce valgo. Talvolta può esserci la presenza di tumefazione. In alcuni casi, alla palpazione della zona interessata, è avvertibile un caratteristico “clic” (segno di Mulder).
Particolarmente indicative, essendo spia di una tensione presente a livello dello spazio intermetatarsale, sono la divaricazione e la leggera flessione della dita.
La ricerca del dolore alla pressione deve essere effettuata con una certa accuratezza; è infatti necessario fare le opportune distinzioni con altre patologie (per esempio una sinovite dell’articolazione metatarso-falangea) che potrebbero dare riscontri simili.
Per quanto riguarda i segni neurologici, i più frequenti sono l’ipoestesia del terzo e del quarto dito, l’iperalgesia del polpastrello del terzo o del quarto dito e la riduzione della sensibilità vibratoria (ricerca con il diapason).
Gli esami strumentali (radiografia, risonanza magnetica ed ecografia) non sono particolarmente affidabili nel caso del neuroma di Morton a causa dell’alto numero di falsi positivi o negativi e vengono effettuati soprattutto per escludere la presenza di altre patologie che possono interessare l’avampiede (artrite, borsite, capsulite, distrofia simpatica riflessa, fratture, ischemia, necrosi avascolare, neoplasie, noduli reumatoidi, sinovite, sindrome del tunnel tarsale, tendinite ecc.).
Come si tratta il neuroma di Morton
La precocità della diagnosi è di notevole importanza ai fini del trattamento del neuroma di Morton.
Se la sintomatologia è presente da meno di sei mesi è possibile tentare interventi di tipo conservativo attraverso terapie farmacologiche a base di antinfiammatori, infiltrazioni locali di cortisone, terapie di tipo fisico.
Generalmente l’uso di plantari posturali che posteriorizzano i carichi e che distanziano le teste metatarsali può risolvere il problema in fase iniziale.
In linea generale, se i sintomi sono legati all’infiammazione dei tessuti circostanti che comprimono il nervo e non tanto a una modificazione della sua struttura, vi sono ottime probabilità di risolvere il problema in modo poco cruento. Fra le varie terapie indicate precedentemente, l’arma più efficace è senz’altro il plantare posturale.
Nel caso invece che la sintomatologia duri da più tempo e le terapie conservative non siano in quadro di risolvere il problema, è quasi sempre necessario l’intervento chirurgico che consiste essenzialmente nell’asportazione del nervo interessato (neurectomia); l’asportazione non provoca problematiche a livello di movimento delle dita dal momento che il nervo in questione ha esclusive caratteristiche di tipo sensitivo; può permanere invece una leggera diminuzione della sensibilità cutanea nella zona interessata. L’operazione chirurgica è piuttosto semplice e viene eseguita in anestesia locale; la deambulazione susseguente all’intervento è generalmente buona e tutti i disturbi scompaiono di norma nel giro di pochi mesi. Il paziente viene dotato, nelle prime tre settimane, di apposita calzatura. Le complicanze sono rare, ma le recidive non sono infrequenti.
Un intervento chirurgico che non prevede la rimozione del nervo è la decompressione endoscopica del nervo; l’intervento, sicuramente meno traumatico della neurectomia, prevede la decompressione del nervo sezionando il legamento traverso intermetatarsale. L’intervento di decompressione viene effettuato attraverso l’introduzione di cannule apposite, sotto guida endoscopica.
Un’alternativa ai vari interventi chirurgici è rappresentata da una procedura di radiologia interventistica denominata sclero-alcolizzazione. Durante questa procedura il paziente è in posizione supina, il ginocchio è flesso a 45°. Dietro guida ecografica, viene posizionato un ago nello spazio metatarsale interessato e si inietta una miscela costituita da alcol e anestetico. Si tratta sostanzialmente di una neurolisi di tipo chimico; l’alcol infatti induce disidratazione, necrosi e precipitazione cellulare. La procedura non presenta particolari complicanze e può, se ce n’è la necessità, essere ripetuta a intervalli di 15 giorni fino alla scomparsa del dolore.
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