INTRODUZIONE
Il Dry Needling è una tecnica di trattamento utilizzata dai fisioterapisti fin dagli anni ’80 in molti paesi (Canada, Irlanda, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti).
Sebbene la tecnica non sia solitamente insegnata al corso di Laurea, negli ultimi anni c’è stata un’incredibile crescita nella richiesta formativa di questo corso, che ha determinato la comparsa di numerosi percorsi formativi con certificazioni varie.
La pratica di tale tecnica ha ricevuto grande attenzione negli Stati Uniti da parte degli organi federali; la Federation of State Boards of Physical Therapy (FSBPT) ha rilasciato tra il 2010 e il 2013 ben quattro ri-edizioni sull’impiego del DN da parte di fisioterapisti.
L’American Physical Therapy Association (APTA) e l’American Academy of Orthopaedic Manual Physical Therapists (AAOMPT), ovvero gli organi rappresentativi della fisioterapia statunitense a livello nazionale, hanno creato un “position statement” (una presa di posizione ufficiale) a supporto dell’uso della tecnica da parte dei fisioterapisti.
La definizione data dall’APTA è la seguente: “il DN è un intervento qualificato che utilizza un ago filiforme per penetrare la cute e stimolare i sottostanti Trigger Point miofasciali, i muscoli ed il tessuto connettivo, con l’obiettivo di gestire il dolore neuro-muscolo-scheletrico e i disordini del movimento. È una tecnica utilizzata per […] diminuire la costante afferenza periferica nocicettiva, ridurre o ristabilire gli squilibri di funzioni e strutture corporee, migliorando l’attività e la partecipazione”.
DOLORE DA TRIGGER POINT MIOFASCIALI
I Trigger Point Miofasciali (di seguito MTrPs) sono definiti come “spots”, cioè aree iper-irritabili all’interno dei muscoli scheletrici, associate a bande tese, lungo le quali sono palpabili aree ipersensibili. Il muscolo in cui sono presenti MTrPs non è interamente “duro”, “contratto” o dolente, ma la dolorabilità è limitata all’area delle bande tese.
Tipicamente i MTrPs sono dolorosi alla compressione e possono produrre dolore locale e riferito (lontano dal punto di palpazione) o altri sintomi, nonché fenomeni autonomici (sudorazione localizzata, vasocostrizione, vasodilatazione, attività pilomotoria).
Possono essere clinicamente suddivisi in “attivi” o “latenti” e vanno ben differenziati dai Tender Points, che, al contrario, riproducono dolore locale alla compressione.
Per questo motivo è bene diagnosticare e classificare i MTrPs come anormalità o disfunzioni motorie, strutturali e sensitive.
Numerose teorie son state proposte per spiegare la formazione e il mantenimento dei MTrPs, ma la teoria più supportata oggi è la cosiddetta “Teoria Integrata della Crisi Energetica”, secondo la quale i MTrPs sarebbero il risultato di un rilascio eccessivo di Acetilcolina (di seguito Ach) a livello di placche neuromuscolari disfunzionali, che comporta un’iperattività e un accorciamento cronico dei sarcomeri, accompagnato da una riduzione della microcircolazione locale, con conseguente ischemia e ipossia tissutale locale.
Di conseguenza vengono rilasciate sostanze pro-infiammatorie come prostaglandine, bradichinina, citochine, istamina che vanno a sensibilizzare le afferenze sensoriali nervose periferiche con conseguente dolorabilità locale.
La prolungata attività di queste sostanze pro-infiammatorie sui nocicettori arriverebbe a coinvolgere i neuroni di secondo ordine delle corna dorsali midollari, con successiva sensibilizzazione del sistema nervoso centrale.
Per Sensibilizzazione Centrale si intende “aumento dell’eccitabilità dei neuroni centrali” con conseguente ipersensibilità agli stimoli nocicettivi (iperalgesia secondaria) e normali (allodinia).
L’aumento e la continuità degli stimoli nocicettivi aumenta il numero delle sinapsi che si attivano in risposta a tali afferenze, aumenta l’eccitabilità di membrana e riduce i meccanismi di inibizione, aumentando la percezione dolorosa.
La Sensibilizzazione Centrale è stata osservata durante infiammazione cutanea ed articolare, muscolare e viscerale. Cambiamenti tipici neuronali includono:
1) risposta aumentata del tessuto infiammato a una stimolazione nocicettiva
2) riduzione della soglia di attivazione di specifici neuroni nocicettivi spinali
3) aumento di risposta a stimoli applicati sui tessuti adiacenti non-infiammati
4) espansione dei campi recettoriali.
Un sistema nervoso così iper-attivo facilita e determina un’ipertonicità muscolare cronica e lo sviluppo di MTrPs.
Al contrario della sensibilizzazione centrale, la sensibilizzazione periferica si manifesta come riduzione della soglia di attivazione dei nocicettori periferici e un aumento della loro capacità di reazione. La sensibilizzazione è sempre secondaria al rilascio di mediatori chimici infiammatori nell’area di danno o disfunzione tissutale.
E’ stato stimato che il dolore miofasciale sia il responsabile principale dei sintomi lamentati dal 30-85% dei pazienti che si presentano dal medico di base o nelle cliniche specialistiche del dolore.
Gerwin et al ha studiato che i MTrPs erano la fonte principale dei sintomi in 71 di 96 pazienti con dolori muscoloscheletrici riferiti a un neurologo. Simili risultati sono stati riscontrati in pazienti con dolori cronici del collo e della testa in visita per problemi dentali.
In un altro studio è stato osservato come la causa principale di dolore fossero MTrPs per il 36% dei 431 pazienti che lamentavano sintomi nei precedenti 7 giorni.
Nonostante i MTrPs siano spesso causa di dolore muscoloscheletrico, restano ancora sotto diagnosticati e non correttamente trattati.
Recenti lavori di imaging hanno permesso di visualizzare e dunque rafforzare ancora più l’esistenza di tali disfunzioni. Sikdar et al recentemente ha introdotto l’elastosonografia, un’applicazione unica di ecografia che permette la visualizzazione dei MTrPs. Con i suoi collaboratori, hanno osservato aree ipo-ecogene (dovuto alla mancanza di “ritorno” alla testina delle onde ultrasonore per la maggior “densità” della banda tesa rispetto al restante tessuto miofasciale) di forma elicoidale nel muscolo trapezio superiore. Tali aree corrispondono a formazioni (noduli) ipersensibili papabili manualmente.
Gli autori sono stati in grado di identificare anche un flusso sanguigno retrogrado durante la diastole che suggerisce un letto vascolare altamente ristretto. Inoltre, recentemente è stata utilizzata la Risonanza Magnetica Elastografica (MRE) che ha permesso di quantificare le asimmetrie nel tono muscolare e localizzare i MTrPs.
Questa metodica MRE ha l’abilità di evidenziare la rigidità dei tessuti misurando la propagazione tissutale delle onde MRI normali. Sebbene queste metodiche siano d’aiuto nell’identificazione della localizzazione precisa dei MTrPs, la loro disponibilità e i loro costi non ne permettono un uso clinico comune e diffuso.
Per questo motivo le tecniche di palpazione manuale restano fondamentali prima del trattamento e non solo devono riguardare i muscoli primari ma anche i sinergisti e antagonisti.
Baldry suggerisce come tecnica principale la palpazione flat con le dita perpendicolari alle fibre muscolari in esame. Recentemente, tuttavia, si raccomanda la palpazione a pinza, quando possibile. Secondo l’autore, la pressione ideale sarebbero di 4 kg per elicitare il caratteristico “jump sign” (riflesso involontario di difesa) che confermerebbe la presenza di un MTrP.
In caso la problematica fosse superficiale, la banda tesa, e il MTrP correlato, sarà più facilmente palpabile. La presenza di tale alterazione sarà confermato dallo “snapping” della banda sotto le dita palpatorie (come “il salto” delle corde di una chitarra).
Un sussulto locale involontario (local twitch response o LTR) a cui si associa una sensazione di dolore è spesso un criterio diagnostico auspicabile per confermare la presenza del trigger point. Non sono necessari entrambi i fenomeni, ma la loro presenza orienta verso una diagnosi più precisa.
Lucas et al ha sottolineato che “un’accurata diagnosi è fondamentale per la prescrizione appropriata e accurata di qualsiasi trattamento”.
Ma l’affidabilità intra e inter esaminatore deve essere alta e di un valore conosciuto.
Varie tecniche son state studiate per cercare di stabilire una referenza standard per poter identificare i MTrPs, ma ad oggi nessuna è stata accettata come definitiva.
Tecniche manuali, microdialisi, biopsie, imaging, elettromiografie non sono ancora in grado di costituire il gold-standard per l’identificazione dei MTrP.
Molti studiosi hanno indagato l’affidabilità della valutazione inter-esaminatore nella palpazione dei MTrPs. I lavori di Gerwin, Njoo-Van der Does e Bron concludono che sia assolutamente necessario un adeguato training per i fisioterapisti per avere la certezza di ottenere interpretazioni similari, e che quindi, con una formazione specifica, l’affidabilità inter-operatore potrebbe migliorare significativamente.
Inoltre, hanno osservato una variabilità nell’affidabilità delle singole caratteristiche: la LTR è risultata essere la caratteristica più difficile da identificare, mentre le altre variavano in base al muscolo palpato.
STORIA e TEORIA DEL DRY NEEDLING
Il concetto moderno di Dry Needling origina da Karel Lewit, il quale rilevò una diminuzione del dolore nell’86% dei pazienti nella zona trattata con l’ago; chiamò questo fenomeno “effetto dell’ago”, per distinguerlo dall’effetto dell’iniezione di farmaci.
Tuttavia, già 40 anni prima (1941) Kelly notò che non vi era alcuna differenza nell’effetto tra l’iniezione di sostanze saline ed il semplice inserimento dell’ago.
A molti il DN può sembrare simile all’Agopuntura Tradizionale Cinese (ATC), tuttavia i due approcci sono completamente agli antipodi. L’ATC è basata sul concetto che i meccanismi del corpo umano sono regolati da un’energia o forza vitale chiamata “Qi”, che circola nel corpo attraverso canali chiamati “meridiani”. L’agopunturista ricerca i meridiani la qualità del flusso di Qi scorre in maniera anormale, tratta mediante aghi questi punti e teoricamente mira a normalizzare il flusso di energia.
Una visione più moderna dell’ATC afferma che l’ago lavori sulle fibre A-delta, rilasciando peptidi oppioidi dagli interneuroni verso le corna dorsali del midollo. Questi peptidi inibiscono la trasmissione di segnale nocicettivo del corno intra-dorsale, convogliata al midollo da fibre afferenti di tipo IV proveniente dal Trigger Point.
In conclusione, coesistono diverse filosofie pratiche di ATC, tutte basate sul concetto Taoista di Yin e Yang, che effettua diagnosi attraverso le teorie dei meridiani (ad esempio la Sindrome da deficit di Yang del rene o la Sindrome da umidità e calore della vescica).
Queste diagnosi in Agopuntura si basano su segni clinici come forma, superficie e colore della lingua o del volto, oppure forza, ritmo e qualità del polso arterioso.
Tipicamente sono trattati da quattro ai dieci punti di agopuntura, lasciando gli aghi applicati per 10-30 minuti. Il trattamento può essere coadiuvato da terapie aggiuntive, quali correnti elettriche, moxibustione, massaggio, cupping o preparati a base di erbe. Il trattamento di ATC va dalle 6 alle 12 sessioni, distribuite in un periodo di circa 3 mesi, seguito da un periodo di “mantenimento” di 3-6 mesi.
Diversi autori sostengono che le basi scientifiche circa la neurofisiologia del dolore supportino i meccanismi coinvolti con il TrPDN. Questa tecnica è basata su un modello differente dall’agopuntura, e origina storicamente da tre tipologie di approccio: il modello radicolare, il modello di sensibilizzazione centrale segmentale e il modello Trigger Point.
Il più diffuso è sicuramente quest’ultimo, il Trigger Point Dry Needling, ovvero il trattamento per mezzo di aghi dei Trigger Point miofasciali, scoperti nelle ricerche di Janet Travell.
Lo scopo è quello di alleviare le disfunzioni sensoriali, motorie e del sistema nervoso autonomo conseguenti alla presenza dei Trigger Point miofasciali.
È importante ricordare come questa tecnica va sempre inserita in un piano di trattamento riabilitativo completo, comprensivo di stretching, mobilizzazione articolare, rieducazione muscolare, rinforzo ed altre tecniche fisioterapiche.
LA TECNICA DEL TRIGGER POINT DRY NEEDLING
La tecnica DN deve essere utilizzata dopo accurata valutazione da parte del fisioterapista, quindi dopo aver formulato adeguata diagnosi riabilitativa e aver stabilito che tale condizione può beneficiare dell’utilizzo del DN e che il paziente non presenti controindicazioni.
Il DN non dovrebbe essere utilizzato nelle seguenti situazioni:
-paziente agofobico
-paziente che non vuole essere trattato con tale tecnica
-paziente che non è in grado o non vuole dare il consenso all’utilizzo della tecnica
-paziente con storia di reazioni anormali all’utilizzo di aghi
-paziente in stato di emergenza
-paziente sotto terapia anticoagulante o affetto da trombocitopenia
-in un’area affetta da linfedema
Alcune controindicazioni relative comuni sono invece le seguenti:
-tendenza a sanguinamento anomalo
-deficit del sistema immunitario
-patologie vascolari
-diabete
-gravidanza
-epilessia
-allergia al Nichel o al lattice
-bambini
-alterazioni dello stato psicologico
-regioni anatomiche a rischio (pleura, organi interni, pacemaker, cicatrici chirurgiche)
Il terapista è inoltre tenuto ad esplicitare al paziente tutti gli aspetti riguardanti la tecnica richiedendo la firma del consenso informato.
La tecnica è eseguita con il paziente in varie posizioni, a seconda dell’area da trattare, sempre in condizioni confortevoli; è buona abitudine, anche se non ritenuto necessario da numerosi articoli, seguire norme igieniche utilizzando aghi e guanti monouso sterilizzati e disinfettando la cute del paziente.
Gli aghi utilizzati hanno normalmente una lunghezza che varia dai 30 ai 50 millimetri e uno spessore di circa 30 gauge, ma questo dipende dalla tipologia di muscolo trattato.
L’efficacia della tecnica è fortemente correlata all’abilità del terapista ed al corretto inserimento all’interno di un piano riabilitativo idoneo.
L’elicitazione della Local Twitch Response (LTR), con relativo dolore familiare del paziente, indica una corretta esecuzione della tecnica ed un outcome migliore, nonostante questo evento possa dare dolorabilità temporanea post-trattamento. Per i muscoli più profondi, invece, risulta più efficace lasciare l’ago in situ per un tempo massimo di pochi minuti, senza ricercare la LTR. Tuttavia il terapista imparerà solo attraverso l’esperienza a riconoscere come ogni muscolo reagisca in modo differente al trattamento.
Qualsiasi tecnica si scelga, l’intensità del trattamento dev’essere adeguata alla tolleranza del paziente e adatta alla patologia presentata.
La posologia è un argomento ancora in discussione; gli autori affermano che per un problema in fase sub-acuta siano sufficienti 2-3 sedute, mentre per un problema cronico siano necessarie anche 5-6 sessioni.
GESTIONE DEL RISCHIO
Il DN implica il superamento della barriera cutanea, quindi è necessario che il terapista sia formato circa l’eventuale prevenzione e gestione degli eventi avversi (vedi parere del Consiglio Superiore di Sanità -DGOCTS 0002325-P-18/12/2013).
Le ricerche effettuate sugli eventi avversi del DN sono minori rispetto a quelle che abbiamo abbiamo a disposizione circa l’agopuntura. Entrambe le tecniche superano la barriera cutanea con un ago sottile, quindi viene spontaneo correlare i dati; tuttavia è importante ricordare le fondamentali differenze filosofiche e pratiche tra le due tecniche. Molte aree corporee che vengono penetrate dall’Agopuntura Tradizionale Cinese non verrebbero mai trattate da chi pratica DN, quindi anche i conseguenti eventi avversi saranno considerevolmente minori.
Per quanto riguarda il DN, gli eventi avversi più indagati in letteratura sono pneumotorace ed infezioni. Gli articoli però riportano dati statisticamente trascurabili e rari e tutti relativi ad eventi secondari ad errori di esecuzione o negligenza dell’operatore. I dati dicono inoltre che il paziente ha una probabilità enormemente maggiore di subire eventi avversi, anche gravi, assumendo farmaci antinfiammatori non steroidei rispetto al trattamento DN.
In sintesi, la tecnica DN presenta pochissimi rischi ed è da considerarsi una tecnica sicura se effettuata da mani esperte ed addestrate.
VALUTAZIONE DEGLI OUTCOME – IL DN E’ UNA TECNICA EFFICACE?
La ricerca scientifica sul DN è ancora in fase embrionale, ma già da circa 15 anni sono reperibili in letteratura molti studi che ne indagano l’efficacia.
A partire da case series, passando per revisioni sistematiche, metanalisi e revisioni Cochrane, è evidente la presenza di un volume sempre crescente di letteratura circa l’efficacia del DN nella riduzione del dolore da Trigger Point miofasciale, aumento del ROM e infine del miglioramento della qualità di vita.
AMBITO DI APPLICAZIONE PRATICA – CHI DOVREBBE FARE DRY NEEDLING?
Dal 2014, numerosi Consigli di Stato (Canda, Inghilterra, Olanda, Svizzera, Belgio, Spagna, Australia, Nuova Zelanda, USA) hanno deliberato che il DN sia una tecnica che ricade nella competenza specifica del fisioterapista.
L’American Academy of Orthopaedic and Manual Physical Therapists (AAOMPT) ha dichiarato nel 2009 che “i fisioterapisti sono adeguatamente formati per affiancare l’utilizzo della tecnica DN alla terapia manuale. La letteratura scientifica conferma che il DN migliora la gestione del dolore, normalizza le alterazioni bio-elettro-chimiche della placca motrice, facilita e accelera il percorso riabilitativo.
L’APTA supporta la pratica del DN da parte di fisioterapisti accreditati e addestrati. Infatti nella Guida alla Pratica della Fisioterapia (terza edizione) il DN è stato inserito come parte delle tecniche di terapia manuale utilizzabili dai fisioterapisti.
Alcune associazioni non condividono questa visione; ad esempio l’American Association of Acupuncture & Oriental Medicine afferma che il DN è per definizione una tecnica di agopuntura, quindi al di fuori delle competenze del fisioterapista, e che non presenta degli standard educativi determinati per assicurare l’efficacia della tecnica e la sicurezza verso il paziente.
Per comprendere chiaramente questa questione complessa è però necessario fare chiarezza su due aspetti fondamentali:
1. FORMAZIONE – TrPDN E’ UNA TECNICA DI BASE O AVANZATA?
Il DN è considerata una tecnica di livello avanzato, infatti non è presente normalmente nella formazione di base del fisioterapista.
Secondo una nota del Federation of State Boards of Physical Therapy (FSBPT) “[…] L’educazione, la formazione e le capacità di valutazione che il fisioterapista riceve nel percorso formativo professionalizzante includono le conoscenze di base e le abilità necessarie all’utilizzo della tecnica con giudizio ed appropriatezza. Tuttavia è chiaro che questa non sia un’abilità di livello basico e richiede quindi un percorso formativo avanzato dedicato”.
La pratica del DN richiede quindi un percorso formativo post-laurea, attraverso corsi specifici, che garantisca al fisioterapista l’apprendimento della tecnica, l’educazione all’utilizzo dell’ago e le capacità valutative per scegliere come inserire questo strumento nella propria attività professionale.
2. DRY NEEDLING ED AGOPUNTURA – SONO LA STESSA COSA?
Il DN viene spesso confuso con l’agopuntura. Per comprendere la fondamentale differenza tra queste due realtà è necessario ricordare che il Dry Needling è una tecnica, l’agopuntura è una disciplina.
Tra le pratiche o le discipline, un particolare gruppo non possiede o detiene il diritto esclusivo di praticare delle tecniche. Questo tipo di restrizioni, specialmente in campo medico, andrebbe a danneggiare l’utente finale, ovvero il paziente. Ad esempio i chiropratici non detengono il dominio esclusivo sulle pratiche manipolative; i fisioterapisti le utilizzano comunemente, dal momento che possiedono l’addestramento e le conoscenze necessarie.
Sia il DN che l’agopuntura hanno in comune l’utilizzo dell’ago, ma è errato affermare che lo strumento definisca la tecnica, ed è altrettanto fallace l’assunto che solo chi pratica agopuntura possa utilizzare aghi.
Sia il carpentiere che il chirurgo utilizzano il martello, dovrebbe quindi uno di loro possedere la prerogativa per l’utilizzo di questo utensile?
La pratica dell’agopuntura da parte degli agopunturisti e la pratica del Dry Needling da parte dei fisioterapisti differiscono in termini storici, filosofici, di indicazione terapeutica e di contesto pratico.
Il fisioterapista diagnostica e tratta il dolore e le disfunzioni in maniera completamente diversa rispetto ad un agopunturista, secondo i concetti basati su moderni studi scientifici di neuroanatomia occidentale e su studi specifici del sistema nervoso, ed integra il suo trattamento classico con l’utilizzo del Dry Needling.
È quindi fondamentale che i fisioterapisti comunichino in maniera chiara che non praticano agopuntura e non intendono farlo.
Le scuole di agopuntura affermano di sottoporre gli studenti ad un corso di circa tremila ore prima di certificarne la formazione e accusano i fisioterapisti di non essere formati adeguatamente, frequentando solamente corsi di pochi giorni.
In realtà questo ragionamento non tiene in considerazione del fatto che molte di quelle tremila ore sono spese per l’insegnamento di materie che sono già presenti nel core-curriculum del corso di laurea base del fisioterapista, quali anatomia, istologia, fisio-patologia, biomeccanica, farmacologia.
Attualmente non esiste uno standard generale che definisca le competenze di base necessarie per la pratica del DN. I vari stati hanno individuato approcci molto diversi verso questa tecnica. Alcuni Stati pongono il DN sullo stesso piano di qualsiasi altro strumento a disposizione del fisioterapista; altri richiedono un determinato numero di ore di pratica clinica o formazione prima di poterlo effettuare.
Il Fisioterapista è comunque tenuto a praticare la tecnica nel rispetto della normativa vigente dello stato di appartenenza.
CONCLUSIONE
Dry Needling non è sinonimo di agopuntura; non ne condivide le metodologie, il razionale, gli scopi e il percorso formativo.
Il Dry Needling è una tecnica che fa parte della scienza medica ed è utile per trattare molte patologie muscolo-scheletriche.
È dimostrato come possa essere utilizzata in modo sicuro ed efficace e dovrebbe quindi essere uno strumento a disposizione dei fisioterapisti adeguatamente formati ed addestrati.
La professione del fisioterapista si sta evolvendo molto velocemente alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche ed i fisioterapisti devono essere in grado di confrontarsi con colleghi ed altri professionisti della salute per innalzare sempre più gli standard di cura col fine di migliorare le possibilità terapeutiche e le condizioni dei pazienti.